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Documenti di cantiere POS e PSC: vera semplificazione?

Con un comunicato pubblicato in Gazzetta Ufficiale, il Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali ha dato notizia dell’avvenuta pubblicazione, sul proprio sito istituzionale, del D.I. 9 settembre 2014. Il D.I. 9 settembre 2014 ha fornito nuovi modelli semplificati per il POS, il PSC, il PSS e il fascicolo dell’opera, riportati, rispettivamente, negli Allegati da I a IV allo stesso provvedimento, che possono essere utilizzati dai datori di lavoro delle imprese affidatarie e delle imprese esecutrici, dal coordinatore e dall’appaltatore.
 I nuovi modelli di valutazione dei rischi riguardano specificamente l’appalto (art. 1655, c.c.) avente come oggetto il compimento di un’opera o di un servizio che rientra nella definizione contenuta all’art. 88, D.Lgs. n. 81/2008; si tratta, quindi, di quei lavori in edilizia da svolgere nei cantieri temporanei o mobili come definiti all’art. 89, comma 1, lettera a), a esclusione di quelle attività individuate al comma 2, art. 88, come, per esempio, la realizzazione d’impianti elettrici, di reti informatiche, di gas, di acqua, di condizionamento e di riscaldamento, nonché piccoli lavori la cui durata presunta non è superiore a dieci uomini-giorno, finalizzati alla realizzazione o alla manutenzione delle infrastrutture per servizi, che non espongano i lavoratori ai rischi di cui all’Allegato XI al D.Lgs. n. 81/2008.
In relazione all’ambito soggettivo, questi modelli consentono al committente delle opere [art. 89, comma 1, lettera b)] e i datori di lavoro delle imprese esecutrici [art. 2, comma 1, lettera b)] di adempiere al delicato obbligo di valutazione dei rischi (artt. 17, 28 e 29) con riferimento allo specifico cantiere interessato che, per il settore dell’edilizia, è basato su un “regime speciale” che prevede una bipartizione di compiti tra questi due soggetti.
Sul primo, infatti, occorre ricordare che grava l’onere di designare i coordinatori per la progettazione e l’esecuzione dell’opera in caso di presenza, anche non contemporanea, di due o più imprese esecutrici (art. 90, comma 3); i coordinatori, secondo le rispettive competenze, devono poi provvedere a redigere il PSC e il fascicolo dell’opera in cui sono analizzati i rischi e individuate le necessarie misure di prevenzione (art. 100).
La stessa norma ha definito anche il modello di PSS semplificato che deve essere redatto dell’appaltatore o del concessionario secondo quanto previsto dal comma 2-bis, art. 131, D.Lgs. n. 163/2006, per i contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture.
Per quanto riguarda la modulistica, invece, il D.I. 9 settembre 2014 ha proposto alcuni modelli che, riprendendo in effetti qualche cosa di già visto, sono a “contenuto vincolato” e adattabili, per quanto riguarda le dimensioni dei campi, con l’obbligo di specificare anche la data delle revisioni e l’oggetto delle stesse che dovranno essere firmate anche dal revisore che, nel caso del POS, coinciderà con il datore di lavoro mentre, in quello del PSC, con il coordinatore. I modelli, comunque, hanno ripreso sostanzialmente l’Allegato XV al D.Lgs. n. 81/2008, richiamandone i vari punti, ma con l’inserimento di alcune informazioni e documenti supplementari come, per esempio, nel caso del PSC nel quale è richiesto di riportare anche le tavole e i disegni tecnici esplicativi; occorre osservare che al PSC deve essere allegata anche la planimetria/lay out di cantiere in funzione dell’evoluzione dei lavori, le planimetrie di progetto, il profilo altimetrico, la relazione idrogeologica, se presente, o indicazioni in tal senso, il computo metrico analitico dei costi per la sicurezza e la tavola tecnica sugli scavi qualora necessaria.
Tra questi documenti quello che appare certamente più critico è il POS, ossia «il documento che il datore di lavoro dell’impresa esecutrice redige, in riferimento al singolo cantiere interessato, ai sensi dell’articolo 17 comma 1, lettera a), i cui contenuti sono riportati nell’allegato XV» [art. 89, comma 1, lettera h)].
Occorre ricordare che l’obbligo della redazione del POS non grava solo sui datori di lavoro delle imprese esecutrici ma anche dell’impresa affidataria (art. 97) e dell’impresa familiare, anche qualora non siano occupati lavoratori subordinati ed equiparati dall’art. 2, comma 1, lettera a), D.Lgs. n. 81/2008 (art. 96, comma 1). Invece, sono ancora esclusi dall’obbligo i lavoratori autonomi (art. 2222, c.c.), ossia la persona fisica la cui attività professionale contribuisce alla realizzazione dell’opera senza vincolo di subordinazione [art. 89, comma 1, lettera d)].
Secondo la giurisprudenza, inoltre, il PSC e il POS vanno a integrarsi tra loro costituendo un unico documento e, in particolare, il richiamo dell’art. 17, comma 1, Lettera a), D.Lgs. n. 81/2008, contenuto all’art. 96, comma 2, D.Lgs. n. 81/2008, ha lasciato chiaramente intendere che il POS documenta, per il singolo cantiere, la specifica valutazione dei rischi, le conseguenti misure di prevenzione e protezione che il datore di lavoro ha il dovere di attuare in armonia con quanto stabilito nel PSC e le prescrizioni eventualmente disposte dal coordinatore nell’esercizio delle sue delicate funzioni di vigilanza durante l’esecuzione dell’opera.
Sulla base di questi principi, quindi, il legislatore ha “confezionato” uno schema di POS “ordinario” stabilendo, nell’Allegato XV, il suo contenuto minimo che ha previsto, tra l’altro, l’individuazione delle misure preventive e protettive, integrative rispetto a quelle contenute nel PSC quando previsto, adottate in relazione ai rischi connessi alle proprie lavorazioni in cantiere, nonché le procedure complementari e di dettaglio richieste dal PSC.
Il D.I. 9 settembre 2014, quindi, sulla base di questi principi ha proposto nell’Allegato I uno schema di POS che, a dire il vero, ha semplificato poco o niente rispetto a quello ordinario; infatti, nel modello è affermato che la redazione del POS dove essere improntata su «criteri di semplicità, brevità e comprensibilità, in modo da garantire la completezza e l’idoneità quale strumento di pianificazione degli interventi di prevenzione in cantiere, l’indicazione di misure di prevenzione e protezione e dei dpi, le procedure per l’attuazione delle misure da realizzare e i ruoli che vi devono provvedere».
Si tratta, in effetti, di una frase mutuata dall’art. 28, comma 2, D.Lgs. n. 81/2008, ma che, di fatto, ha scarso valore pratico in quanto, a ben vedere, questo nuovo modello è “blindato” e ha un contenuto che sostanzialmente è quello dello schema ordinario che è possibile desumere dall’Allegato XV.
Senza contare, poi, la richiesta d’informazioni aggiuntive come nel caso dei lavoratori dell’impresa e di quelli autonomi; infatti, il punto 3.2.1, n. 7, Allegato XV, ha richiesto solo «il numero e le relative qualifiche dei lavoratori dipendenti dell’impresa esecutrice e dei lavoratori autonomi operanti in cantiere per conto della stessa impresa» mentre, nel nuovo modello, è necessario specificare anche i nominativi e, per i lavoratori autonomi, anche molteplici informazioni aggiuntive (attività svolta, data d’ingresso e data di uscita dal cantiere) e una serie d’informazioni analitiche sulla formazione (base, rischi specifici e di mansione, rischi di cantiere contenuti in PSC e POS, DPI III categoria e addestramento).
Inoltre, non è nemmeno chiaro quali siano le «Mansioni specifiche svolte in cantiere ai fini della sicurezza» svolte dal RSPP, dal medico competente e dal rappresentante dei lavoratori, previste in un apposito campo del modello, atteso che le stesse già sono puntualmente definite dal D.Lgs. n. 81/2008.
Non si comprende, quindi, quale sia la semplificazione ma, al contrario, a ben vedere, il modello di POS semplificato, che almeno 10 giorni prima dell’inizio dei lavori insieme al PSC deve essere messo a disposizione dei rappresentanti per la sicurezza dei lavoratori, rischia di complicare ulteriormente la vita delle imprese e dei professionisti; a tutto questo occorre aggiungere l’assoluta mancanza d’istruzioni operative che, se ben delineate, avrebbero contribuito certamente a rendere più agevole la redazione del POS e degli altri documenti semplificati.


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Le norme per la sicurezza delle aule scolastiche

Mentre in questi giorni le ipotesi di riforma della scuola tengono banco e si parla finalmente di fondi per la ristrutturazione di molti edifici a rischio, è utile riportare alla memoria il corpus delle norme tecniche UNI sui requisiti che gli arredi scolastici (lavagne, banchi, sedie, cattedre) e gli strumenti di illuminazione artificiale devono possedere per garantire la sicurezza, sia all’interno che all’esterno delle aule.

Cattedre. UNI 4856
Esiste una norma specifica anche per i docenti: si tratta della UNI 4856 che stabilisce i requisiti di stabilità, resistenza e durabilità e i relativi metodi di prova per cattedre e sedie destinate agli insegnanti. Oltre a tali requisiti la norma prende anche in considerazione quelli delle superfici dei componenti metallici (ad esempio la resistenza alla corrosione), i requisiti delle parti mobili (ad esempio la durata e la resistenza delle guide dei cassetti) e i requisiti dei pannelli a base di legno (ad esempio le emissioni di formaldeide).

Lavagne. UNI EN 14434
Le lavagne rientrano nel campo di applicazione della norma UNI EN 14434 che riguarda tutte le “superfici verticali di scrittura”. La norma ha l’obiettivo di prevenire lesioni gravi durante il normale utilizzo delle lavagne: per questo motivo specifica, ad esempio, che:
  • nessuna parte della superficie verticale deve costituire un potenziale pericolo per l'utente
  • la superficie deve essere tale da evitare danni agli indumenti e macchie durante l’utilizzo
  • tutti i bordi e gli angoli accessibili devono essere arrotondati
  • tra le varie parti della lavagna che si muovono in relazione l'una all'altra deve esserci sempre una distanza di sicurezza che deve essere meno di 8 mm o più di 25 in ogni posizione durante il movimento.
Le lavagne “a norma” vengono sottoposte a prove per verificarne l’attitudine alla scrittura e alla cancellazione, la resistenza all’abrasione, alla graffiatura, all’urto e alla macchiatura. Le lavagne oltre ad essere sicure devono anche essere facili da usare, la UNI EN 14434 fornisce alcuni requisiti ergonomici, come ad esempio il posizionamento di comandi e maniglie. Infine la norma stabilisce la documentazione che deve accompagnare questi prodotti come, ad esempio, le istruzioni per il montaggio e l’installazione.

Banchi e sedie. UNI EN 1729
Le caratteristiche di banchi e sedie sono descritte dalle norme della serie UNI EN 1729 che stabiliscono ad esempio che:
  • i bordi del sedile, dello schienale e dei braccioli delle sedie che vengono a contatto con l’utilizzatore devono essere arrotondati con un raggio minimo o uno smusso di 2 mm. Le superfici devono essere lisce, le estremità rivestite per evitare di generare schegge taglienti
  • ogni sedia o banco “a norma” deve superare una serie di prove di laboratorio tra le quali quelle di stabilità, di resistenza, di durata e d’urto
  • in relazione all'altezza dello studente (da 80 cm per i bambini fino ai due metri per i ragazzi), le norme assegnano agli arredi scolastici delle vere e proprie "taglie". In questo modo le norme intendono favorire l'adozione di una corretta postura contribuendo allo sviluppo psicofisico di bambini e ragazzi che ormai trascorrono gran parte della loro giornata a scuola.
Per una corretta postura, la norma prescrive che lo schienale debba avere un'inclinazione compresa tra i 95° e i 110°, questo indipendentemente dalla statura dello studente.
Le norme fissano le dimensioni delle sedie e dei banchi scolastici anche in relazione alla crescente diffusione dell'utilizzo di PC nella didattica. Gli arredi scolastici a norma sono progettati in modo che gli studenti possano appoggiare le braccia mantenendo le spalle rilassate sia che si trovino dinanzi a un monitor sia che siano alle prese con i più tradizionali quaderni a righe o quadretti.
Come si riconoscono gli arredi scolastici a norma? Le sedie e i banchi scolastici dovranno recare ben visibili: la "taglia" o il codice colore (ad ogni codice colore corrisponde una “taglia diversa”), il nome o logo del fabbricante, del distributore, dell'importatore o del venditore, la data di fabbricazione che specifichi almeno l'anno e il mese di produzione.

Illuminazione. UNI 10840
La UNI 10840 elenca i criteri generali per l’illuminazione artificiale e naturale delle aule e di altri locali scolastici, in modo da garantire condizioni che soddisfino il benessere e la sicurezza degli studenti e degli altri utenti della scuola. I locali scolastici vengono utilizzati prevalentemente durante le ore diurne, perciò la UNI 10840 fornisce le prescrizioni generali sia per l’illuminamento artificiale sia per l’illuminazione naturale.
Per i livelli di illuminamento e le prescrizioni generali sull’illuminazione artificiale la norma fa ampio riferimento anche ad un altro documento normativo: la UNI EN 12464 Parte 1 “Luce e illuminazione – Illuminazione dei posti di lavoro – Posti di lavoro in interni”.
Tale norma prevede che i requisiti illuminotecnici debbano soddisfare tre esigenze fondamentali:
  • il comfort visivo, cioè la sensazione di benessere percepita
  • la prestazione visiva, cioè la possibilità da parte degli studenti/lavoratori di svolgere le proprie attività anche in condizioni difficili e al lungo nel tempo
  • la sicurezza, cioè la garanzia che l’illuminazione non incida negativamente sulle condizioni di sicurezza degli studenti.
Va ricordato che tra i principali parametri che caratterizzano l’ambiente luminoso in relazione alla luce artificiale e a quella diurna ci sono la distribuzione delle luminanze, la direzione della luce, la sua variabilità, la resa dei colori, l’abbagliamento e lo sfarfallamento.

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Il privacy officer: nuovi adempimenti?

Se arriverà il regolamento europeo, scatterà l'obbligo per una fetta di imprese e tutte le pubbliche amministrazioni di nominare il responsabile per la protezione dei dati, il privacy officer. Però, ormai è assodato, non ci si potrà improvvisare “guru della privacy” con alle spalle un corso di 3 giorni e nessuna esperienza operativa, perchè la gestione dei dati personali è attività pericolosa ai sensi dell’art.15 del D.lgs. n°196/2003, che richiama l’art. 2050 del Codice Civile che contiene una prescrizione che suona minacciosa: ”Chiunque cagiona danno ad altri nello svolgimento di una attività pericolosa, per sua natura o per la natura dei mezzi adoperati, è tenuto al risarcimento, se non prova di avere adottato tutte le misure idonee a evitare il danno”. 
La professione di privacy officer e consulente della privacy richiede elevata preparazione e competenze in ambiti giuridici, informatici, e gestionali, per cui non è possibile improvvisarsi esperti della materia.
E ancora più severo sarà il nuovo regolamento con l’introduzione del principio di “accountability” in virtù del quale il titolare avrà l’onere di dimostrare in modo sostanziale secondo il grado tecnologico e organizzativo del momento di aver adottato tutte le procedure idonee a evitare il sinistro privacy. 
Tradotto in parole povere, “chi sbaglia paga”.
Noi dello Studio Lo Brutto siamo in grado, avendo già fin dalla introduzione della Privacy curato la consulenza in aziende pubbliche e private, di organizzare stage formativi, o iniziare collaborazioni che permettano di mettere in sicurezza tutto il sistema del trattamento dei dati personali, avvalendoci di strumenti e servizi all'avanguardia.

per informazioni: info@studiolobrutto.eu
 

Coordinatore della progettazione: quando è richiesto

Coordinatore della progettazione
Rispondendo ad un quesito presentato dall’Associazione Nazionale Imprese Edili Manifatturiere, l’Ance ha chiarito che la designazione del coordinatore per la progettazione (obbligatoria quando nel cantiere sono presenti più imprese esecutrici anche non contemporaneamente) non è necessaria quando l’opera non necessita di permesso di costruire e l’importo dei lavori è inferiore a 100 mila euro. In questi casi, le funzioni del coordinatore per la progettazione sono svolte dal coordinatore per l’esecuzione dei lavori.

Quando, invece, i lavori sono soggetti al permesso di costruire, il committente è sempre tenuto, ove sia prevista la presenza in cantiere di più imprese esecutrici, anche non contemporanea, a nominare il coordinatore in fase di progettazione, qualunque sia l’entità dell’opera. Il coordinatore per l’esecuzione deve essere nominato contestualmente all’affidamento dell’incarico di progettazione.

DUVRI e altri documenti da fornire al committente
Per la valutazione dell’idoneità tecnico professionale è sufficiente che l’impresa o il lavoratore autonomo presenti al committente il certificato di iscrizione alla camera di commercio, industria e artigianato e l’autocertificazione del possesso dei requisiti di idoneità tecnico professionale, ai sensi dell’articolo 47 del Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, di cui al D.P.R. n. 445/2000.

L’Ance ha spiegato che il committente non può chiedere una copia del DUVRI, ma solo i documenti e le informazioni necessarie per la sua elaborazione. Il DUVRI, infatti, deve essere allegato al contratto d’opera o di appalto e questo onere ricade sul committente.

Responsabilità lavoratore in materia sicurezza lavoro

Pubblicato nei Working papers di Olympus il saggio n.37 L’individuazione e le responsabilità del lavoratore in materia di sicurezza sul lavoro, curato da Mariantonietta Martinelli, avvocato del Foro di Trani, specialista in Diritto del lavoro e sicurezza sociale presso l’Università di Bari.
L’autrice nell’opera ripercorre l’evoluzione storica della normativa italiana al fine di mettere in luce la nascita e l’affermazione della ratio che introduce gli obblighi di sicurezza anche per i lavoratori.
Per lungo tempo il lavoratore ha rivestito esclusivamente il ruolo di beneficiario delle norme prevenzionistiche, con gli obblighi totalmente a carico del datore di lavoro e dei suoi collaboratori. Il lavoratore era quindi semplicemente il soggetto da tutelare, senza alcun obbligo giuridico.
Nella normativa vigente, il D.lgs. n. 81/2008, gli obblighi a carico dei lavoratori in materia di sicurezza sono elencati  nell’art. 20:
“I lavoratori devono in particolare:
a) contribuire, insieme al datore di lavoro, ai dirigenti e ai preposti, all’adempimento degli obblighi previsti a tutela della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro;
b) osservare le disposizioni e le istruzioni impartite dal datore di lavoro, dai dirigenti e dai preposti, ai fini della protezione collettiva ed individuale;
c) utilizzare correttamente le attrezzature di lavoro, le sostanze e i preparati pericolosi, i mezzi di trasporto, nonché i dispositivi di sicurezza;
d) utilizzare in modo appropriato i dispositivi di protezione messi a loro disposizione;
e) segnalare immediatamente al datore di lavoro, al dirigente o al preposto le deficienze dei mezzi e dei dispositivi di cui alle lettere c) e d), nonché qualsiasi eventuale condizione di pericolo di cui vengano a conoscenza, adoperandosi direttamente, in caso di urgenza, nell’ambito delle proprie competenze e possibilità e fatto salvo l’obbligo di cui alla lettera f) per eliminare o ridurre le situazioni di pericolo grave e incombente, dandone notizia al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza;
f) non rimuovere o modificare senza autorizzazione i dispositivi di sicurezza o di segnalazione o di controllo;
g) non compiere di propria iniziativa operazioni o manovre che non sono di loro competenza ovvero che possono compromettere la sicurezza propria o di altri lavoratori;
h) partecipare ai programmi di formazione e di addestramento organizzati dal datore di lavoro;
i) sottoporsi ai controlli sanitari previsti dal presente decreto legislativo o comunque disposti dal medico competente”.
Con l’entrata in vigore del Testo Unico il lavoratore diventa quindi titolare di una serie di precetti antinfortunistici. Sulla base delle nuove norme la studiosa passa quindi in rassegna la casistica che si può prospettare nel caso di violazione degli obblighi di sicurezza analizzando la possibile imputazione e la ripartizione delle responsabilità fra datore di lavoro e lavoratore:
  • l’assenza di responsabilità del lavoratore in difetto di cooperazione datoriale;
  • la responsabilità concorrente del lavoratore in caso di cooperazione datoriale;
  • la responsabilità esclusiva del lavoratore.

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Nulli gli atti di nomina Rspp in mancanza dei requisiti ex art.32





Con decisione n. 20862/2014, la terza sezione penale della Corte di Cassazione ha stabilito che sono nulle le nomine dei Rspp sprovvisti dei requisiti previsti  dall’ art. 2, lett. f) e dall’art. 32 del TU 81/2008 (Capacità e requisiti professionali degli addetti e dei responsabili dei servizi di prevenzione e protezione interni ed esterni).


Le capacità e i requisiti professionali dei responsabili e degli addetti ai servizi di prevenzione e protezione interni o esterni devono essere adeguati alla natura dei rischi presenti sul luogo di lavoro e relativi alle attività lavorative.




I soggetti devono essere in possesso di:
  • titolo di studio non inferiore al diploma di istruzione secondaria superiore;
  • attestato di frequenza… a specifici corsi di formazione adeguati alla natura dei rischi presenti sul luogo di lavoro e relativi alle attività lavorative;
  • attestato di frequenza a specifici corsi di formazione a) in materia di prevenzione e protezione dei rischi, anche di natura ergonomica e da stress lavoro-correlato, b) di organizzazione e gestione delle attività tecnico amministrative e di tecniche di comunicazione in azienda e di relazioni sindacali
  • attestato di frequenza di corsi di aggiornamento secondo gli indirizzi definiti nell’accordo Stato-Regioni.

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Tutorial manovre per la disostruzione vie aeree





Per divulgare il più possibile le azioni da compiere per salvare la vita di un bambino e di un lattante, in occasione della festa della mamma di domenica 11 maggio 2014, l’Associazione Trenta Ore per la Vita regala a tutte le mamme un video-tutorial nel quale Lorella Cuccarini, socio fondatore e testimonial dell’Associazione, illustra in modo chiaro e semplice le manovre per la disostruzione delle vie aeree da corpo estraneo nel lattante e nel bambino.
In Italia più di 50 bambini all’anno, uno a settimana, perdono la vita per l’ostruzione delle vie aeree. La fascia più esposta è quella dei bambini dai 12 ai 36 mesi. L'ostruzione avviene quando, al momento dell'inalazione dell'oggetto nelle vie aeree, esso entra nella trachea anziché procedere normalmente per l'esofago.
Le 12 semplici manovre illustrate nel video riguardano il bambino (dal numero 1 al numero 8) e il lattante (dal numero 9 al numero 12) e sono regolate dalle linee guida internazionali vigenti in materia.
Questo video è stato realizzato in collaborazione con il dottor Marco Squicciarini, medico esperto di tecniche di rianimazione di base.
Al fine di diffondere il più possibile il filmato, è possibile scaricarlo, previa registrazione al sito, http://www.trentaore.org/pageID/292/langID/it/viva_la_mamma_informata.html

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La valutazione dei rischi a favore dei volontari

Sugli obblighi dell’applicazione del TU 81/08 e in particolare della redazione della valutazione dei rischi a favore dei volontari, si è espressa il 13 marzo la Commissione interpelli del Ministero del Lavoro.
Si è trattato di indicare quali sono le disposizioni del TU alle quali devono sottostare le associazioni senza personale dipendente ma che, per raggiungere le proprie finalità, si avvalgono dell’aiuto di unità operative volontarie che non ne chiedono alcun compenso.
La Commissione ritiene che, in generale per le associazioni di volontariato il regime applicabile sia quello previsto per i lavoratori autonomi*, per i quali l’art. 3, c.11 del TU 81/08 dispone l’applicazione dell’art. 21.
La Commissione ha richiamato l’art. 2, c. 1 lett. a) del TU, per il quale è “lavoratore” la “persona che, indipendentemente dalla topologie contrattuale, svolge un’attività lavorativa nell’ambito dell‘organizzazione di un datore dî lavoro pubblico o privato con o senza retribuzione, anche al solo fine di apprendere un mestiere un ‘arte o una professione, esclusi gli addetti ai servizi domestici e familiari“.
Per l’art. 3, c. 12-bis, inoltre, le disposizioni di cui all’art. 21 si applicano “nei confronti: 
  • dei volontari di cui alla L. 266/1991;
  • dei volontari che effettuano servizio civile
  • dei soggetti che prestano la proprio attività… in favore delle associazioni di promozione sociale di cui alla L. 383/2000 e delle associazioni sportive dilettantistiche… non aventi scopo di lucro, affiliate alle federazioni sportive nazionali o agli enti nazionali di promozione sportiva riconosciuti ai sensi delle leggi vigenti…. e alle associazioni sportive dilettantistiche costituite in società di capitali senza fine di lucro… e nei confronti di tutti i soggetti di cui all’art. 67, c.1, lett. m), del Dpr 917/1986.
A favore di questi soggetti i datori di lavoro sono tenuti a fornire dettagliate informazioni sui rischi specifici esistenti negli ambienti nei quali sono chiamati ad operare e sulle misure di prevenzione e di emergenza adottate in relazione alla loro attività. Inoltre, devono adottare le “misure utili ad eliminare e/o a ridurre al minimo i rischi da interferenze tra la prestazione del soggetto e altre attività che si svolgano nell’ambito della medesima organizzazione”. 
Così chiude la Commissione: “restano fermi i principi generali di diritto che impongono al responsabile dell’impianto o dell’associazione sportiva dilettantistica che di esso abbia la disponibilità… di predisporre adeguate misure di tutela nei confronti di chi venga chiamato ad operare nell’ambito delle attività di riferimento dell’associazione sportiva dilettantistica e che, pertanto, ne sanciscono la responsabilità secondo i principi comuni civili e penali nel caso di danni causati a terzi da cose in disponibilità”.

Sentenza Cassazione sul comportamento del Coordinatore della sicurezza

Il fatto, l’iter giudiziario e il ricorso in Cassazione
 
Il Tribunale ha condannato alla pena stimata di giustizia, nonché al risarcimento del danno e al pagamento di provvisionali, il legale rappresentante di una società, committente e responsabile di alcuni lavori edili, nonché il coordinatore per la sicurezza in fase di progettazione ed esecuzione per avere causato, per colpa, la morte di un operaio dipendente dell’impresa esecutrice gestita dalla società deceduto per le conseguenze subite a causa di una caduta dall'alto. La Corte d'Appello, esprimendosi sull'impugnazione di entrambi gli imputati, ha assolto il coordinatore per la sicurezza per non avere commesso il fatto, revocando nei suoi confronti le statuizioni civili, mentre ha confermata la penale e civile responsabilità del committente. Quest’ultimo ha ricorso in cassazione lamentando il trattamento diverso riservatogli rispetto al coordinatore nonostante che le ragioni che avevano imposto l'assoluzione del coordinatore avrebbero dovuto estendersi anche alla sua posizione. Lo stesso committente ha fatto notare, infatti, che il coordinatore per la sicurezza era stato assolto perché era stato accertato documentalmente che l’esecutore dei lavori, facendo in merito una comunicazione sia a lui che al coordinatore, si era formalmente impegnato per iscritto a custodire il cantiere sotto la sua esclusiva responsabilità fino alla messa in sicurezza del cantiere stesso, tenendo comunque sospesi i lavori, per cui tale adempimento avrebbe dovuto portare anche alla sua assoluzione. Il committente ha fatto notare altresì che la Corte territoriale nell’assumere la propria decisione non aveva espressa alcuna motivazione.
 
Le decisioni della Corte di Cassazione.
 
Il ricorso è stato ritenuto fondato dalla Corte di Cassazione che non ha condiviso le decisioni assunte dalla Corte di Appello la quale aveva ritenuto sufficiente che il coordinatore, perché fosse esonerato dalle sue responsabilità, avesse più volte chiesto all’impresa ed al committente di sospendere i lavori e di chiudere il cantiere. “Nel caso in cui il coordinatore per la sicurezza”, ha quindi sostenuto la Corte suprema, “constati l'obiettiva necessità di sospendere i lavori e ciò non ottenga, per esonerarsi da responsabilità non ha strada diversa da quella di dimettersi dall'incarico, il cui mantenimento risulterebbe del tutto incompatibile con una situazione fattuale, a lui ben presente, che ponga a rischio l'incolumità dei lavoratori addetti al cantiere”.
 
A definitivo rafforzamento del convincimento di non colpevolezza del coordinatore i Giudici della Corte territoriale avevano messo in evidenza che lo stesso, in fase d'appello, aveva esibita documentazione attestante la custodia esclusiva del cantiere da parte dell’impresa che si era impegnata altresì a non proseguire i lavori fino a quando non avesse esibito tutta la documentazione necessaria ad attestare la messa in sicurezza del cantiere medesimo per cui avevano ritenuto verosimile che i lavori fossero proseguiti all'insaputa del coordinatore per la sicurezza. Se l’appaltatore si era affermato custode esclusivo del cantiere obbligandosi a mantenerne sospesa ogni attività almeno in attesa della piena messa in sicurezza dello stesso, ha quindi sostenuto la Sez. IV,  restavano da chiarire le ragioni per le quali il rappresentante legale dell'impresa committente doveva essere considerato colpevole di essere venuto meno ai propri doveri di garante a differenza del coordinatore per la sicurezza, chiarimenti che secondo la Sez. IV la Corte territoriale non aveva comunque fornito nell’esprimere le motivazioni nella propria sentenza.
 
Alla luce di quanto sopra detto quindi nonché a causa della carenza motivazionale che aveva reso palesemente illogica e contraddittoria l'affermazione di colpevolezza espressa nei confronti del committente, la Corte di Cassazione ha pertanto annullata la sentenza impugnata emanata dalla Corte di Appello disponendo il rinvio degli atti alla stessa per una nuova valutazione sul punto.

Utenti al riparo dalle telefonate "mute" Varate le regole contro il telemarketing più invasivo


Utenti telefonici più tutelati contro le "telefonate mute", un fenomeno particolarmente fastidioso causato da un'attività di promozione telefonica poco rispettosa della tranquillità degli utenti.
A conclusione della consultazione pubblica avviata lo scorso anno sulle misure da adottare per ridurre drasticamente questo fenomeno, il Garante privacy ha varato in via definitiva il provvedimento generale che impone agli operatori di telemarketing di adottare specifiche misure per ridurre drasticamente questo tipo di disturbo.
Sono stati numerosi gli abbonati che hanno segnalato al Garante la ricezione di telefonate nelle quali, una volta risposto, non si viene messi in contatto con alcun interlocutore. Una pratica che, in alcuni casi, ha comportato il disturbo degli utenti anche  per 10-15 volte di seguito e che viene spesso vissuta dagli utenti addirittura come una forma di stalking, fino a configurarsi come un vero e proprio allarme sociale.
Come messo in luce dalle verifiche effettuate dall'Autorità, il problema deriva dalle impostazioni dei sistemi centralizzati di chiamata dei call center, rivolte a massimizzare la produttività degli operatori. Per eliminare tempi morti tra una telefonata e l'altra, infatti, il sistema genera in automatico un numero di chiamate superiore agli operatori disponibili. Queste chiamate, una volta ottenuta risposta, possono essere mantenute in attesa silenziosa finché non si libera un operatore. Il risultato è appunto una "chiamata muta", che può indurre comprensibili stati di ansia, paura e disagio nei destinatari.
Ecco dunque le regole fissate dal Garante per eliminare gli effetti distorsivi di questa pratica commerciale, senza penalizzare l'efficienza delle imprese di telemarketing:
1) i call center dovranno tenere precisa traccia delle "chiamate mute", che dovranno comunque essere interrotte trascorsi 3 secondi dalla risposta dell'utente;
2) non potranno verificarsi più di 3 telefonate "mute" ogni 100 andate "a buon fine". Tale rapporto dovrà essere rispettato nell'ambito di ogni singola campagna di telemarketing;
3) l'utente non potrà più essere messo in attesa silenziosa, ma il sistema dovrà generare una sorta di rumore ambientale, il cosiddetto "comfort noise" (ad es. con voci di sottofondo, squilli di telefono, brusio), per dare la sensazione che la chiamata provenga da un call center e non da un eventuale molestatore;
4) l'utente disturbato da una chiamata muta non potrà essere ricontattato per 5 giorni e, al contatto successivo, dovrà essere garantita la presenza di un operatore;
5) i call center saranno tenuti a conservare per almeno due anni i report statistici delle telefonate "mute" effettuate per ciascuna campagna, così da consentire eventuali controlli.
Gli operatori di telemarketing hanno sei mesi di tempo per mettersi in regola e adottare le misure prescritte dall'Autorità.

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Da Italia Oggi del 6.10.23: Educazione civica in sicurezza

 

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